_labirinti mediterranei

Titolo: Labirinti mediterranei

Sottotitolo: Tessuto, paesaggio e spazialità tra Europa e periferia ellenica

Autore: Alexis Tzompanakis

Casa Editrice: Alinea Editrice Print dottorato

Città, Anno: Firenze, 2012

Scheda a cura di: Simone Leoni, Marzia Ortolani, Claudia Ricciardi

Keywords: Mediterraneo, Grecia, spazialità, locale, globale, classicità;

Il saggio mira a rintracciare il valore paradigmatico delle opere della periferia ellenica, portavoce di una specificità territoriale e culturale, rispetto alla centralità europea. Il Mediterraneo diventa non solo sfondo geografico, ma repertorio di eterogenee località che arricchiscono il territorio comune, identificando la “spazialità mediterranea” come categoria autonoma. Il rapporto centro/periferia lascia spazio, dunque, ad una concezione molto più ampia di “dimensione ibrida”, sostituendo al concetto di confine quello di frontiera che, attraverso un bordo poroso e labile, si lascia attraversare da eterogenee connessioni culturali e reciproche contaminazioni.

La reinvenzione della storia intesa come riferimento mitico é un’operazione centrale nella figura di tre autori: K. F. Schinkel, Le Corbusier e D. Pikionis. Mediterraneo è per Schinkel, come per ogni spirito romantico, un luogo letterariocui anelare per una sorta di abluzione impossibile in contrasto alla moderna barbarie. Per Le Corbusier è pur sempreluogo letterario ma perde quei valori di totalità che aveva rappresentato per Schinkel, diventando un immenso repertorio di segni. Pikionis ricerca tutto questo attraverso la frantumazione di un intero è una ri-significazione dei frammenti.

Questo triplice approccio ad una modernità critica in rapporto alla continuità storica (che da Palladio a Loos giunge ai tre soggetti della questione) si esplicita infine nei relativi tre progetti per il Partenone.

K. Frampton arriverà infine a definire negli anni Ottanta il Regionalismo Critico, in cui l’architettura moderna dalle caratteristiche universali e positive dovrà rispondere a istanze specifiche come il contesto: la topografia, la tettonica, i materiali, la dialettica fra locale e globale. 

“Lo spazio di Le Corbusier é uno spazio chiaro, della griglia razionalista, che si va progressivamente frantumando per diventare uno spazio labirintico. L’asse, da astrazione geometrica, diviene sempre più una traiettoria dell’esperienza, una dorsale narrativa. Dal repertorio di segni degli anni Venti,la frattura col Movimento Moderno si esprimerà nel volume ctonio delle Maisons Jaoul, dove la griglia isotropa diventa compressa e l’atmosfera buia, cavernosa”.

Dopo la II G.M. il clima culturale favorisce una ricerca legata ad un Nuovo Monumentalismo e all’identità come fatto collettivo, quindi dalla grande scala alla comunità (recettore attivo e partecipativo), da Le Corbusier al Team X. Nella ricerca europea assistiamo ad una oscillazione tra paesaggio e campo, dove il primo diventa campo quando l’architettura recupera significati spaziali storici o periferici; nella specificità ellenica il paesaggio viene percepito come matrice di percorso, come stratigrafia analoga. I valori tradizionali vengono assimilati nel paesaggio, nella topografia e nei materiali. 

Citazioni:

“La condizione postmoderna della periferia necessita quindi di nuovi descrittori, nuove figure capaci di tenere insieme tanto la sfera locale quanto quella globale. Queste non sono più figure urbane unitarie, né figure urbane complesse ma figure instabili, appartenenti ad una dimensione ibrida che oscilla tra architettura, città e paesaggio”. (pag. 40)

“Attraverso questa simultaneità tra località e deterritorializzazione che ha luogo all’interno della spazialità mediterranea in quanto categoria, si rende possibile il dispiegarsi di quel patto mimetico (in crisi nella Contemporaneità) secondo cui essa, intrinsecamente contestuale, è funzione ed espressione della città”. (pag. 24)

“Con il progetto per l’Acropoli, Schinkel riesce a dimostrare (così come Piranesi con il Campo Marzio) che il passato non offre nessun insegnamento se l’invenzione non lo interpreta”. (pag. 55)

“É stato dimostrato tanto il valore instabile del classicismo dell’opera di Le Corbusier quanto la sua proliferazione manifestamente eterodossa; secondo Ignasi de Solà Morales infatti: “Il classicismo [in Le Corbusier] è un risultato finale,Il compimento di uno sforzo, la vittoria su un disordine iniziale sul quale lo spirito umano è capace di stabilire il proprio dominio. […] La relazione dell’opera di Le Corbusier con la storia non è una relazione organica. Non c’è in essa alcun senso della tradizione, […]. Al contrario, il passato può essere riesaminato, ma con la lucidità di chi sa che le cose non stanno più come prima e che, dunque, ogni analogia o imitazione ha soltanto valore di esempio, di caso particolare in un processo di conferma empirica […]. Si spezza dunque ogni possibile concezione della storia che non sia distante e in un certo senso operativa”. (pag. 57)

“In ultima analisi, l’«equifunzionalità tra soggetto e mito» proposta da R. Genovese dimostra che l’esistenza, all’interno della modernità, di elementi di premodernità non costituisce una ricaduta regressiva, ma l’impossibilità di liquidarne il nucleo profondo. È questo il motivo per cui anche Le Corbusier ha bisogno di ricorrere alla storia come canovaccio su cui i tipi in quanto elementi stabili possano proiettarsi, ibridarsi e divenire instabili ; essi non sono più pure forme  (in quanto il concetto di forma sottintenderebbe la presenza di un significato), ma meccanismi di una metafora più ampia in cui tipo e soggetto, premodernità e modernità convivono in una perenne oscillazione che rimanda continua-mente dall’uno all’altro”. (pag. 114)

“Parlare del passato era diventato l’unico modo, dopo la tragedia della guerra civile, di riuscire a parlare di futuro; allo stesso modo scava la terra trasformandola in un cretto lastricato per la canalizzazione dell’acqua piovana, un’operazione ingegneristica e utilitaria fatta con la stessa téchne che diluisce e sublima i confini che ha conosciuto sull’Acropoli, nei monasteri bizantini o nelle case dell’Epiro”. (pag. 126)

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